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Efficienza nella esecuzione delle opere pubbliche – L’importanza del Project Management

Tomaso Freddi – Associato A+network – Presidente Lavoro più – Presidente Margotta Srl

Secondo gli ultimi dati si stima che la ricchezza detenuta dai privati, senza la parte immobiliare, ammonti in Italia a circa 4.400 mdi di euro, quasi tre volte il PIL, di cui un terzo liquido (o assimilabile) su conto corrente. Una cifra enorme se paragonata alle altre economie, anche nell’ambito della zona euro dell’UE. I possessori di questa ricchezza non sanno come impiegare questa liquidità che continua a stazionare inutilizzata sui conti correnti senza alcun rendimento, o con rendimenti bassi in rapporto ai rischi. Gli interessi bancari sui depositi sono praticamente zero, e in alcuni casi negativi. Le ultime aste di titoli pubblici italiani, che qualcosa di interesse continuano a dare, hanno richieste quantitative sempre superiori rispetto all’offerta del Tesoro.

La situazione sotto molti aspetti è paradossale, ma si spiega con l’azione delle banche di emissione (FED, BCE,…) che, con l’intento di riportare il tasso di inflazione intorno al 2% e di alimentare in tal modo la domanda aggregata., continuano a stampare moneta (o a concedere credito, che è la stessa cosa) scrivendo all’attivo dei loro bilanci le poste di credito nei confronti degli Stati ed accrescendo così il debito pubblico. Per quanto attiene la BCE, il programma Qe di Draghi, in vigore dal 2015, ha emesso complessivamente 2.650 mdi al termine del 2018. Il Qe2 della Lagarde, che ha ripreso le emissioni, prevede più o meno lo stesso importo. Il risultato, come si è detto per molti versi paradossale, è che nonostante il basso costo del denaro la massa monetaria continua a crescere ma la richiesta di nuovi investimenti privati è scarsa, il debito pubblico aumenta, i consumi languono e la moneta si accumula nei conti corrente dei risparmiatori privati.

“Whatever it takes” è stata la parola d’ordine che ha avuto successo. Ma a che fine? Poiché il cavallo privato non beve a sufficienza e invece dei consumi aumentano i risparmi, il risultato di questa azione è stata modesta: quello di mantenere gli investimenti e il debito pubblico con basso “spread” e andare avanti così fino che si può.

E’ evidente la domanda che in queste condizioni tutti si fanno. Non può che essere la seguente: “questo andamento può durare all’infinito? Dobbiamo pensare che si tratti di un equilibrio dinamico permanente oppure di una colossale bolla che prima o poi è destinata a deflagrare con effetti disastrosi? La risposta purtroppo è evidente di per sé stessa: così non si può andare avanti all’infinito e sarà prima o poi necessario prendere drastici provvedimenti capaci di invertire la rotta, stimolando gli investimenti, privati o pubblici che siano, puntando su una maggior produttività del sistema nel suo complesso e facendo così ripartire un aumento seppur modesto del PIL.

Certamente si deve tener conto del particolare momento che stiamo attraversando caratterizzato dalla pandemia da covid-19 che condiziona decisamente la domanda di beni e servizi, ma, una volta ripristinata la normalità, siamo certi che potrà riprendere uno sviluppo sufficiente a creare un equilibrio economico stabile con un debito pubblico adeguato? Se si considera che già prima della pandemia questo equilibrio non c’era, difficilmente si può prevedere un capovolgimento di un trend che già preesisteva nel paese da circa vent’anni senza mettere in conto forti interventi pubblici da parte dello Stato. Il capitalismo ha avuto successo fino a che con la sua efficienza ha alimentato lo sviluppo dei consumi individuai. Ma ora la crescita a lui dovuta ha raggiunto un asintoto. La curva a S, la stessa che si usa in matematica come simbolo dell’integrale, rappresenta correttamente l’andamento storico del suo sviluppo. Si doveva fornire la prima casa, e poi il frigorifero, e poi l’auto, e poi la seconda casa, e poi la seconda auto, e poi…., in assenza di questi fondamentali forniture che soddisfano una domanda privata che già ha raggiunto una sostanziale saturazione e in attesa che la domanda della cosiddetta economia circolare raggiunga volumi significativi, il PIL senza interventi pubblici potrà’ crescere al massimo di qualche decimo di punto percentuale l’anno e non di più. Con il debito pubblico che ci ritroviamo questo equilibrio economico risulta essere molto precario.

Sul piano sociale l’equilibrio è ancora più problematico. Esso ha retto fino a che c’è stata la possibilità di accedere a qualche “ascensore sociale”. Ma senza un sostanziale sviluppo oggi questa possibilità non c’è più. Forse è rimasta solo in Cina. Oggi non ci sono più prodotti di massa da inventare. Una volta si diceva che lo sviluppo era trainato dalla produzione. Da parecchi anni la variabile prima è diventata il consumo, un consumo sempre più sostenuto da una pubblicità esasperata che ha portato al “consumismo”. Ora lo sviluppo punta sulla cosiddetta “economia circolare”, ma, a ben vedere, i consumi di questa economia non sono (ancora) spontanei, ma devono essere assecondati per non dire imposti dallo Stato. Oggi, se si vuole puntare sulla “green economy”, c’ è spazio solo per progetti (costruzioni) che richiedono investimenti pubblici. Diventa allora fondamentale, contrariamente a quanto accaduto sinora, che siano efficienti, per qualità, costo e tempo di esecuzione. Nella sostanza, dobbiamo imparare a costruire bene anche nelle opere e negli interventi pubblici. Dobbiamo intervenire con investimenti pubblici ad alto rendimento. Mantenere qualità, costi e tempi previsti in sede progettuale non deve essere considerata una cosa impossibile. In altri paese avviene abbastanza normalmente. Occorre utilizzare strumenti adeguati che non sempre corrispondono alla storia e alla cultura del nostro paese. Occorre prendere atto, mettendo a tacere richiami ideologici, che bisogna utilizzare il più possibile le imprese private dove l’efficienza è di casa e, se non è possibile, motivare gli operatori pubblici valorizzando il loro insostituibile lavoro (di programmazione e di controllo) sul piano professionale con adeguati compensi e con riconoscimenti sociali. 

Ad esempio, per lavori non di grandi dimensioni il meccanismo del “credito d’imposta” può rappresentare un utile strumento per trasformare con la dovuta efficienza un investimento pubblico in opere controllate dal privato. Uno strumento che possiede un altro notevole vantaggio: si tramuta immediatamente in PIL, fatto che raramente accade con altri incentivi che come abbiamo visto finiscono in risparmio anziché in consumi. Se si conteggiano in diminuzione delle imposte, gli investimenti dedicati al miglioramento delle proprietà immobiliari private, in particolare sul risparmio energetico, così come per le imprese quelli rivolti alla modernizzazione dei processi produttivi e delle tecnologie 4.0, hanno dimostrato di funzionare bene convogliando almeno una parte del risparmio privato in investimenti produttivi.

Nella sostanza dobbiamo chiederci: è proprio impossibile rendere in Italia più efficienti gli investimenti gestiti da organismi pubblici? Si deve almeno tentare di migliorarli tenuto conto che le statistiche ci dicono che con i canali attuali il tempo per la realizzazione di opere con valore inferiore ai 100.000 euro è in media di 2 anni e tre mesi, mentre per le grandi infrastrutture materiali ed immateriali spesso si superano i 15 anni. Come sempre, per effettuare un cambiamento, occorre anzitutto che lo Stato prenda atto e riconosca la sua incapacità di portare a buon fine nei tempi previsti gli investimenti che programma e che necessita di strumenti e di professionalità nuove. Le difficoltò nascono, come è noto, dalla miriade di norme che per tante buone ragioni si sono sovrapposte nel tempo, dalla lentezza delle decisioni che gli iter burocratici impongono, dalla mancanza di responsabilità chiare e dal conseguente rimpallo che ne deriva, e da altre cause certamente non trascurabili. Come si possono superare queste difficoltà in termini pratici e nella realtà del paese così come è oggi?

Se analizziamo il percorso di realizzazione di un progetto pubblico tipico, per esempio una infrastruttura necessaria per potenziare l’attività economica per un valore stimato superiore al milione di euro, possiamo distinguere tre fasi temporali che si susseguono aventi caratteristiche tra loro molto diverse. Il progetto di massima nasce dall’autorità governativa in carica ed ha giustamente carattere politico nel senso che rispecchia gli orientamenti politici prevalenti in quel momento. Anche in questa fase è importante un apporto di esperienza non indifferente che deve operare nell’ambito dell’autorità governativa di competenza, ma è corretto che a guidare sia la politica. Devono essere fissati gli obiettivi fondamentali del progetto, le risorse economiche e finanziarie assegnate e i tempi di realizzo, ed è evidente che è la politica che deve compiere queste scelte fondamentali. Segue una seconda fase nella quale il progetto viene perfezionato, ma non stravolto, allo scopo di poter essere reso idoneo alla gara d’appalto. Trattandosi di un’opera pubblica, finanziata con soldi pubblici, è questa la fase più critica, la fase che oggi crea più problemi e tempi più lunghi dovendo ottemperare a diversi obblighi di legge (antimafia, anticorruzione, conflitti di interesse, procedure e gare di appalto…), con frequenti rinvii e contestazioni anche giudiziarie. Una volta aggiudicato l’appalto e perfezionato il progetto esecutivo, ha inizio la terza fase nella quale il compimento delle opere è affidata alla gestione dell’aggiudicatario, con la sua organizzazione e il suo staff operativo. E’ importante evidenziare che in questa fase l’apparato pubblico, lo stesso che ha curato l’assegnazione dell’appalto, dovrà essere presente per una continua ed efficace azione di controllo affinché le opere siano eseguite secondo contratto e con la qualità richiesta.

Per migliorare i tempi di realizzazione dell’intero progetto ci si deve concentrare sulla seconda fase che come detto è quella più critica. Modificare l’ordinamento legislativo, intervenendo con provvedimenti atti a ridurre passaggi burocratici mediante procedure di semplificazione, digitalizzazione dei processi, parrebbe essere la via maestra per ottenere lo scopo. Ma nella realtà di oggi del nostro paese si tratta di un processo lungo e dispendioso, alla continua ricerca di compromessi che finirebbero per snaturare gli interventi stessi. E poi, una considerazione concettuale, come si può chiedere a professionisti del diritto di promuovere una legge destinata al solo fine di abrogare leggi? La nostra proposta nella pratica è di ricorrere alla figura professionale del “project manager”, da tempo conosciuta ed utilizzata dalle strutture private in tutto il mondo. Secondo la definizione più comune: “Il project manager è responsabile unico dell’avvio, della pianificazione, dell’esecuzione, del controllo e della chiusura di un progetto”. La caratteristica di base della sua professione consiste nel prendere atto della realtà dell’ambiente in cui deve operare senza tentare di modificarla se non dove è possibile farlo immediatamente, superando tutti gli ostacoli ai quali si trova di fronte con inventiva e soluzioni idonee. Una professione che richiede grandi qualità e competenze di lungo corso senza escludere la responsabilità e il rischio di decisioni prese a titolo personale. Un’attività di prima linea, che spesso si trova in contrasto con gli ordini impartiti dallo Stato Maggiore, e nella quale predomina l’obiettivo irrinunciabile di osservare tempi, costi e della qualità da rispettare.  

In Italia la professione del “project manager” è sottovalutata anche in ambito privato. Molto più apprezzata e diffusa è all’estero, specie nella esecuzione di grandi opere. Nel nostro paese spesso è considerata un’attività di secondo piano, mentre dovrebbe essere allo stesso livello di fama che caratterizza la professione, ad esempio, dell’architetto. All’estero esistono nomi celebri di “project manager”, con ampio pedigree, che elenca i lavori realizzati con successo e che viene esposto ad esempio sui cartelli dei cantieri. Questa professione deve avere anche in Italia il posto che gli spetta Il project manager deve pesantemente intervenire proprio nella seconda fase del progetto. Parallelamente a quanto avviene nel settore privato, anche all’interno della PA (potrebbe essere per esempio una divisione specializzata della Guardia di Finanza) si dovrebbe concedere spazio, onori e fama ai giovani che intraprendono questa professione. A ben vedere per la PA non sarebbe una novità. Questo già avviene in campo scientifico, nella ricerca, nell’insegnamento universitario, e in altri settori pubblici nei quali la motivazione sul lavoro nasce da un riconoscimento ufficiale della. professionalità perseguita.

Questi sono solo alcuni suggerimenti per tentare di superare un deficit che il nostro paese ha assoluta necessità di risolvere. Nei prossimi anni, anche in considerazione degli ingenti finanziamenti messi a disposizione dell’UE nell’ambito del programma “Recovery Fund”, il paese deve assolutamente dimostrare di saper realizzare gli interventi oggetto dei finanziamenti nei tempi e nelle modalità perviste.