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Produttività e modelli organizzativi

Renato Comai – Presidente Istituto Ricerche Manageriali Srl – Vice Presidente Associazione Italiana Lean Managers– Associato onorario A+network

Sono passaggi obbligati del nostro tema il riferimento ai paesi più avanzati, la consapevolezza dei nostri gap, la difficoltà di recupero per tutti i paesi.

Le varie materie dove è necessario fondare il recupero, dalla Finanza alla Economia, all’Organizzazione e il confronto con i paesi più avanzati, dalla Germania agli Stati Uniti a cui riferirsi per valutare cosa stanno facendo e tentare un’opportuna emulazione, sono facilmente individuabili.

La consapevolezza dei gap italiani rischia di generare in noi una depressione, che non dovrebbe essere trascurata; alcuni fattori sono quanto mai attuali, altri sono quasi secolari: l’incapacità dei politici, la burocrazia e l’appesantimento bizantino del settore pubblico, l’attività detrattiva delle evasioni e delle protezioni criminali ci sono molto noti.

Ma è opportuno soffermarsi anche sulla difficoltà di tutti i paesi per attivare un proficuo recupero di produttività: vi è una serie di fenomeni che, pure se in sé positivi, lo rendono più difficile in tutti i paesi:

  • lo sviluppo inesorabile delle tecnologie con un effetto prevedibile nel tempo di grande entità sulla riduzione del fabbisogno degli organici.
  • L’orientamento dell’organizzazione verso il lavoro a processi che abbatte le strutture considerate di poco valore per il cliente.

Le strutture dovrebbero diventare piatte, senza gerarchie intermedie tra chi fa il lavoro operativo e chi dirige. Ecco il modello Lean, il modello snello dove svanisce l’attività parcellare e scompare chi non sa dare un apporto ricco, soprattutto se è relegato a qualcosa di automatico e ripetitivo senza il ricorso dell’intelligenza.

Il modello Lean però si ritrova contrastato dall’applicazione dell’economia di scala con il criterio che fonda la riduzione degli organici sull’ aggregazione delle unità e delle aziende piccole per diventare grandi, abolendo i Capi dei Capi. Questa pratica molto attuale non depone, pur tuttavia, per un azzeramento delle gerarchie sufficiente, perché non si basa sulle aggregazioni del lavoro operativo, arricchimento indispensabile per avere un modello Lean.

Analoga difficoltà di realizzazione la troviamo nel BPR, metodologia Statunitense quasi eversiva che si propone di abolire il cosiddetto taylorismo, termine improprio che indica il lavoro burocratico e parcellare e la esasperata suddivisione delle funzioni in unità distinte tra di loro. Inoltre occorre ricordare che l’economia di scala produce persone al vertice lontane dai processi operativi e poco informate sull’andamento reale del lavoro alla base.

La sostenibilità e il miglioramento dell’ambiente rappresentano ulteriori fattori che complicano, sul piano organizzativo, la necessità di condividere i vari obiettivi, anche se l’orientamento verso la Lean favorisce la compatibilità sia con la sostenibilità sia con l’ambiente.

Ultima considerazione è che, con quanto detto, se si intendesse percorrere la strada degli altri Paesi avanzati, si rischierebbe di impegnarsi su un tema sul quale non siamo in possesso di analoghe competenze.

E’ mia convinzione invece, che un recupero della situazione italiana post Covid sia da giocarsi su un cambiamento che, pur essendo quanto mai complesso e impegnativo, è comunque alla nostra portata. Il cambiamento ha come aspetti centrali:

  1. la vocazione tipicamente italiana verso la piccola dimensione e verso l’intraprendenza del pioniere, figura autonoma determinata, da aggiornare sulle nuove evoluzioni manageriali e sulle tecnologie, ma molto orientato a fare e a concentrarsi sulle priorità. Determinato a raggiungere obiettivi difficili, carismatico, non influenzabile da chi vuol tirare da un’altra parte. Ciò ricordando le vecchie e le ancora attuali nicchie.
  2. L’impatto eccezionale delle tecnologie e le sue risultanze esponenziali con effetti drammatici sul fabbisogno aziendale degli organici.
  3. La necessità di trasferire via via le risorse dalle Industrie penalizzate a settori che potrebbero fiorire, attinenti alla bellezza geografica italiana, oggi molto poco sfruttata.                            

Aggiungo alcune considerazioni a quanto esposto sugli aspetti centrali:

  • Occorre richiamare l’attenzione sulla previsione di J.K.GALBRAITH del secolo scorso,  riguardante l’alternanza del successo tra le Aziende grandi, quelle di “piano”, quelle che praticano l’economia di scala denominate “le balene” che, con la loro potenza finanziaria e le competenze specialistiche schiacciano quelle piccole, e quelle “di mercato” da lui denominate “i pescecani”,  le aziende snelle e agili che, come i pescecani, sono capaci di sgusciare negli interstizi lasciati liberi dalle balene. Il successo, in questa alternanza tra balene e pescecani, mette in risalto la cultura di ciascuna che, degenerando nel tempo, cristallizza i propri difetti. Da qui l’espressione “il bello è grande” e “il bello è piccolo”.
  • Il pioniere è una figura che è diffusa proporzionalmente a quanto sono diffuse le piccole aziende anche in quelle piccolissime.
  • La dimensione limitata è coerente con la logica del “distretto”, rieditato come sistema impresa università-cultura locale-territorio.
  • C’è un richiamo al genius loci dove conta la bellezza, il gusto, la terra che, uniti alla tecnologia e alla remotizzazione di alcune funzioni, possono dare risalto alla proposta paese.
  • E’ sempre nel confronto tra settori diversi che si può avere innovazione: è possibile prevedere uno spostamento delle risorse esuberanti ad altri settori dalle Industrie più penalizzate dalla crisi.
  • l’Italia è lungi da far crescere la propria bellezza geografica con i servizi di supporto, salvo per alcune rare zone: potrebbe migliorare moltissimo l’attrazione verso il turismo con il contributo di confacenti servizi qualità e costi.
  • E’ una trasformazione enorme e dobbiamo fare in fretta con opportuni e ficcanti progetti, perché il rischio è che molte aziende in crisi scompaiano a breve.
  • Ci deve aiutare un ripensamento e una riformulazione della produttività, dal semplice o semplicistico rapporto tra misura dell’output e la quantità delle risorse umane impiegate.
  • E’ necessario conferire al numeratore un’espressione più vicina al reale valore per il cliente, limitando il denominatore il più possibile alle risorse primarie, quelle cioè deputate direttamente a produrre; occorre a questo proposito un’attenzione profonda agli studi specifici in corso su come esprimere e valutare la produttività.
  • Sta emergendo nel confronto tra le varie aziende e la loro produttività, che la piccola azienda è produttiva quanto la grande, se non migliore.
  • E’ necessario cimentarsi, mi ripeto, in alcune micro rivoluzioni organizzative e tecnologiche nella direzione del modello Lean e della scalarità tecnologica esponenziale.
  • Nel caso di un’azienda grande è possibile ricorrere ad un frazionamento in più divisioni, costituendo in ciascuna una situazione gestita con lo Smart Working.
  • E’ possibile costituire un’unità poliaziendale di H.R. che, lavorando a distanza, possa assistere i “pionieri” nel cambiamento anche sul piano della formazione al Management moderno.

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