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COVID-19 e la spinta alla transizione verso una economia verde

Gian Paolo Rossini – Membro Associato del Gruppo di Lavoro Internazionale sul Progresso Sociale

La pandemia di COVID-19 sta colpendo duramente le società, e la seconda ondata di contagi di quest’autunno ha fatto riemergere una frase già sentita in marzo: “Nulla sarà mai più come prima”. In estate era più frequente un diverso auspicio: “Vanno recuperate le condizioni precedenti la pandemia al più presto possibile”, ma entrambe le affermazioni sono aspetti della medesima difficilissima situazione, in cui emergono quattro criticità di questo nostro tempo: i) la salute delle persone, ii) la tenuta economica del sistema produttivo, iii) l’istruzione delle giovani generazioni, iv) la coesione sociale.

Una risposta a queste criticità si trova nel piano di ripresa economica post-COVID-19 della UE, “Investire in un’Europa verde, digitale e resiliente”, finanziato da più strumenti, uno dei quali indica chiaramente la strategia: “Next Generation EU”. Tutto considerato, questo piano discende direttamente dallo European Green Deal, mirato a “…rendere l’Europa il primo continente a neutralità climatica entro il 2050, aumentando l’economia, migliorando la salute e la qualità della vita delle persone, avendo cura della natura e non lasciando indietro nessuno.” Il piano è estremamente ambizioso, ricollegandosi a tre maggiori temi delle Nazioni Unite: l’Accordo di Parigi per il contrasto ai cambiamenti climatici, la tutela della biodiversità e dei servizi ecosistemici, lo sviluppo sostenibile.

In questo quadro è degno di nota come organizzazioni e agenzie internazionali di diversa natura abbiano interventi convergenti sull’importanza di cambiamenti strategici coordinati e armonici in dimensione globale, proiettati verso scenari futuri di sviluppo economico e sociale allineati alla tutela ambientale e la sostenibilità.

Un anno fa, ad esempio, l’OCSE ha pubblicato un documento intitolato “The Only Way Forward”, identificata nell’allineamento di sviluppo, cooperazione e azione climatica. Nel documento si riconosce come la crisi climatica sia la sfida determinante del secolo, combinando minacce allo sviluppo già esistenti e creando nuovi ostacoli.

Le valutazioni del World Economic Forum vanno nella medesima direzione. Nel rapporto annuale del 2020 riprende temi affrontati negli anni precedenti, mostrando che i maggiori rischi percepiti dalla “comunità di molteplici portatori d’interesse” (imprese, governi, società civile) sono di natura ambientale e climatica.

Nella medesima direzione va l’attenzione del settore finanziario. Notevole la lettera che nel gennaio di quest’anno Larry Fink, Presidente di BlackRock, una delle grandi società globali di gestione del risparmio, ha inviato ai CEO. Nella lettera, Fink afferma che “…il rischio climatico è rischio d’investimento”, sottolineando che “…la sostenibilità sarà al centro del nostro approccio all’investimento…”.

Il quadro delineato da Larry Fink si rispecchia in un’affermazione del World Energy Outlook 2020 della International Energy Agency: “Nel 2020 le maggiori compagnie petrolifere hanno ridotto la stima del valore del proprio patrimonio di oltre 50 miliardi di $, una palpabile espressione del cambiamento della percezione del futuro…”.

Questo non è un dato imprevisto. Il Fondo Monetario Internazionale esamina da tempo le strategie per il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, e in un documento del 2019 (Fiscal Policies for Paris Climate Strategies—From Principle to Practice) sottolinea l’importanza di strumenti di tassazione, o di attribuzione di un prezzo alle emissioni di CO2, la cui valenza economica è alta.

Dare un prezzo alle emissioni non è una novità. Il mercato delle quote di CO2 è attivo da tempo, così come l’elaborazione di programmi per l’introduzione di una tassa sulle emissioni di CO2. L’FMI, tuttavia, segnala come il prezzo medio globale della CO2 sia basso (2 $ US/t) e vada alzato parecchio, una linea interamente condivisa dalla Banca Mondiale (State and Trends of Carbon Pricing 2020).

In conclusione, vi è crescente accordo nel prevedere che la traiettoria corrente delle attività umane avrà costi sempre maggiori, senza essere in grado di fornire condizioni di vita appropriate per le prossime generazioni, e richiede così cambiamenti di “paradigmi, obiettivi e valori, a carico di fattori economici sociali, politici e tecnologici” (IPBES, 2019).

La sfida è enorme, ma vi è un vasto spazio di opportunità per iniziative produttive allineate ai temi maggiori della tutela ambientale e la sostenibilità. Si tratta di fondarle su cosa fare, per “raggiungere uno sviluppo economico, sociale e ambientale inclusivo e sostenibile” (OCSE) e “non lasciare indietro nessuno” (NU).