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Lo Smart Working e il lavoro autonomo

Tomaso Freddi – Associato A+network – Presidente Lavoropiù – Presidente Margotta Srl

Il quesito a cui cercheremo di rispondere in queste brevi note è il seguente: lo smart working, che, come sappiamo, sotto la spinta di covit-19 si sta rapidamente diffondendo, contiene in sé degli elementi educativi che possono favorire in futuro uno spostamento significativo verso il lavoro autonomo?

Partiamo dalla definizione delle due forme di lavoro considerate così come oggi si presentano sotto l’aspetto giuridico e consuetudinario. Secondo una definizione riportata da internet:

Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.

La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).

Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento – economico e normativo – rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie. È, quindi, prevista la loro tutela in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità illustrate dall’INAIL nella Circolare n. 48/2017.

Il lavoro autonomo, così come oggi viene praticato nella realtà quotidiana è descritto molto bene ancora su internet:

Il lavoro autonomo è una forma di lavoro che si contraddistingue per la sua assenza di subordinazione rispetto a un datore di lavoro. Spesso, tuttavia, non è sempre semplice distinguere le due forme e può succedere che certi tipi di attività da dipendente vengano fatte passare per autonome da quello che nei fatti è il datore di lavoro. Il motivo è semplice: il lavoro dipendente obbliga il datore di lavoro a tutta una serie di tutele, anche di tipo economico. Inoltre in questa forma di attività la tassazione è a carico del titolare dell’azienda che ha assunto i lavoratori. Ancora:

Chi è il lavoratore autonomo? Ai sensi dell’art. 2222 del Codice civile, è un lavoratore autonomo colui che presta un’opera o fornisce un servizio in proprio, senza che esista un rapporto di subordinazione con il datore di lavoro. I settori di applicazione di questo tipo di attività sono molto vasti e riguardano tanti settori: dal commercio all’artigianato alle libere professioni, sono esclusi solo coloro che svolgono attività imprenditoriali. In genere in lavoro autonomo viene svolto in regime di partita IVA: ciò significa che la prestazione lavorativa viene assoggettata all’imposta sul valore aggiunto nell’aliquota corrente. 

La rapida diffusione dello Smart Working porterà nel tempo ad un avvicinamento tra le due forme di lavoro fino ad effettuare delle sovrapposizioni anche parziali? L’opinione di chi scrive è che tra le due tipologie sarà inevitabile che si verifichino spostamenti anche significativi e che questi prevalentemente avverranno con la dovuta gradualità da lavoro subordinato a lavoro autonomo. Certamente la maggioranza dei lavoratori preferirà rimanere nella condizione di dipendente dell’azienda il più a lungo possibile e ne avrà anche per legge la possibilità. Troppi sono gli attuali vantaggi normativi ed economici per rinunciarvi. Non è una decisione che si può prendere da un momento all’altro. L’abitudine al mensile fisso e la paura di un salto nel buio hanno da sempre costituito i principali ostacoli da superare. Anche in passato, per coloro che hanno fatto il gran passo c’è voluta la grande occasione o piuttosto una gradualità ed un progressivo adattamento non solo materiale ma anche nell’interpretazione del lavoro e nel prendere coscienza delle proprie capacità lavorative. Ma ora ci troviamo di fronte ad una grande occasione collettiva!

Tre sono i motivi per i quali è lecito attendersi una evoluzione nel senso indicato. In primo luogo si verificherà con il tempo un naturale miglioramento dell’organizzazione e della tecnologia del lavoro a distanza rendendo più agevole effettuarlo e anche meno dipendente dalle incombenze domestiche. Sarà sempre più facile misurarne la produttività e la conseguente remunerazione.

In secondo luogo, indipendentemente da ogni retaggio del passato, è inevitabile che l’autonomia con cui si lavora aumenti. Certo questa tendenza dipenderà molto da persona a persona e dalla tipologia del lavoro, ma statisticamente avrà un impatto non indifferente e tale da caratterizzare i prossimi anni in modo non trascurabile. La presa di coscienza di essere in grado di lavorare in autonomia ha bisogno di tempo. L’abbiamo già vista in passato in occasione della esternalizzazione del lavoro materiale (che necessitando di strumenti era indubbiamente più difficile attuare) e di servizi ritenuti non strategici. Ma quante nuove piccole imprese sono nate da questo processo.

In terzo luogo non è difficile prevedere che in molti casi ai lavoratori in smart working potranno sopraggiungere con il tempo richieste di lavoro da altre aziende. Sarà il segnale della propria capacità di mantenersi sul mercato in autonomia e di fare il salto. La gradualità di questo processo è insito nella modalità con cui si verifica. Si comincia con una prova, con un piccolo impegno di tempo, da farsi fuori ora, e, verificate le condizioni di reciproca convenienza, l’impegno diventa permanente.

Che dimensione potrà avere questo fenomeno? A mio parere sarà certamente non trascurabile.